
LUCIANO VENTRONE:
L'opera di Luciano Ventrone (Roma, 1942), ormai conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo, sfugge ad ogni facile classificazione.
Definirlo iperrealista o vederlo come mero emulatore della pittura antica non rende giustizia alla "maniera" di un vero Maestro dell'arte contemporanea, apprezzato da critici di grande levatura da Zeri, a Sgarbi a Bonito Oliva, il quale vide nella sua arte, fatta di "investigazione, domanda (…) la possibilità di ristabilire nell'uomo un tempo di sosta, di riflessione" lontano dalla freneticità dei tempi moderni.
Federico Zeri lo definì il Caravaggio del ventesimo secolo per la stessa tenacità posta nell'inseguire i propri obbiettivi: perseguire fino all'estremo l'imperativo di "mimesis". Per fare ciò si avvale di tecniche artistiche raffinate, seguendo alcuni procedimenti mutuati dai pittori antichi, come la gessatura della tela e l'uso del colore ad olio steso per velature.
Il risultato però si discosta notevolmente da quello del suo progenitore secentesco. La luce infatti è fredda, impersonale, simile a quella di una lampadina o di uno spot, lontana dal calore e dagli effetti creati dalle candele usate dagli antichi. Anche il significato di "vanitas" contenuto nelle nature morte del passato svanisce lasciando il posto al tentativo di fissare per sempre un momento sottraendolo all'inflessibile scorrere del tempo.
I soggetti prediletti sono frutti o foglie, disposti spesso all'interno di ceste o tazze dal sapore orientale, contro uno sfondo neutro, nero o grigio, che esclude qualunque tipo di suggestione di spazio facendo concentrare lo sguardo del pubblico sul centro della composizione, occupata da elementi di mirabile perfezione, che sfidano per la loro bellezza la stessa natura.
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